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Ma che c’entra Benetton in tutto questo?

Violenza, arroganza, paura.
La morte di Santiago Maldonado, l’incarcerazione di Facundo Jones Huala, le violente incursioni della Gendarmeria nei territori occupati dal Pu Lof en Resistencia del Departamento de Cushamen, sono tutti eventi accaduti nei territori recintati da Benetton, con fine unico la tutela dei suoi interessi economici.

Viene spontaneo chiedersi se e come una vicenda dai risvolti così rilevanti, densa di sopraffazioni, intimidazioni, violazioni di diritti umani, fino ad arrivare alla rievocazione di spettri ancora presenti nella memoria della società argentina quali la ‘desapariciòn forzada’, possano accadere nei territori di un gruppo di tale potenza, senza una sua determinata interferenza.

E’ pure sorprendente come sia i principali mezzi di informazione che gli stessi organi investigativi, non si siano mai preoccupati di coinvolgere il gruppo italiano nelle loro indagini alla ricerca del ‘disperso’ Santiago, avvenuta in un territorio dove non succede niente senza che la multinazionale ne venga a conoscenza.

Alcune circostanze ci fanno riflettere.
All’interno del podere, a Leleque, con un accordo firmato fra Benetton, la Secretaría de Seguridad de la Nación e  la Provincia del Chubut, funzionano un commissariato e una base logistica della Gendarmeria, dalla quale si sono mossi per le prime incursioni contro il Pu Lof  Resistencia Cushamen del 10 e 12 gennaio scorsi; il camion per trasportare il bestiame sequestrato perché presunto frutto di abigeato (accusa poi miseramente decaduta) era della tenuta Benetton.

Durante l’incursione del 1 agosto, il giorno della sparizione di Santiago, i pick-up della fattoria andavano e venivano dalla gendarmeria e un dipendente della tenuta dava indicazioni su come muoversi nel territorio.

Sempre lì era la base operativa per i rastrellamenti del 18 settembre alla ricerca del corpo di Santiago, alla quale hanno partecipato circa 400 militari dell’esercito, uomini della Prefettura Navale e della Polizia Federale, con elicottero, mezzi anfibi, droni, cavalli, senza ottenere alcun esito.

Dalle analisi dell’autopsia sembra che il corpo, sparito 80 giorni prima, sia stato immerso nell’acqua per circa 5 giorni: e per il resto del tempo dove si trovava?  Di sicuro non era sul luogo del ritrovamento che, oltre ad essere normalmente frequentato dagli occupanti del Pu Lof, era stato oggetto di molteplici ispezioni.

Venerdi 13, qualche giorno prima del ritrovamento del corpo, per la prima volta dopo 74 giorni dalla sparizione, il giudice aveva firmato un mandato per eseguire le ricerche anche dentro il quartiere generale di Benetton a Leleque, unico luogo della zona dotato di celle frigo.

L’unica conclusione che ci sentiamo in grado di fare è che questa vicenda lascia una percezione di minaccia per qualsiasi forma di rivendicazione, ancorché sostenuta da basi legittime, di assenza di un potere giudiziario indipendente, o peggio di asservimento di eserciti e tribunali alle istanze dei potenti gruppi multinazionali che oggi occupano gran parte della Patagonia.

Ci lascia preoccupati che l’impresa dei fratelli Benetton, notoriamente attenti analizzatori dei trend dei mercati, ma anche di umori e aspirazioni popolari, abili erogatori di messaggi subliminali, abbia lasciato traspirare un messaggio di paura, forse propedeutico alle promesse di sicurezza fatte dal governo, di sicuro funzionale alle attività che svolge nei territori in disarmonia con la gente che li abita.