Palestina

Carovana Road to Palestine

«Viaggeremo nel mondo, cammineremo o navigheremo verso suoli, mari e cieli remoti, cercando non la differenza, non la superiorità, non lo scontro, tanto meno il perdono e la pietà. Andremo a incontrare ciò che ci rende uguali».

Sette mesi fa abbiamo accolto nelle nostre comunità resistenti la Montagna che dal sud est messicano si è mossa, in alto mare, salpando verso l’Europa 500 anni dopo la conquista coloniale. Abbiamo incontrato le delegazioni dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, percorrendo insieme, domandando, un altro pezzo di quella strada che abbiamo voluto condividere.

La Gira zapatista ci ha confermato l’importanza di unire le lotte dal basso, di costruire insieme percorsi di autonomia e resistenza, di legare le nostre comunità in lotta di fronte all’aggressione capitalista, che come un’Idra ha molti tentacoli differenti ma la stessa faccia. Percorsi che in questi anni ci hanno portato dal Chiapas al Wallmapu, dal Kurdistan alla Palestina. Ed è proprio dalla Palestina che ripartiamo dopo la pausa forzata a cui ci ha costretto la pandemia perché proprio lì in quei territori si sta consumando una delle ingiustizie più grandi della storia.

Tre anni fa eravamo a Gaza con il progetto “Gaza is Alive”. Attraverso il linguaggio dell’Hip Hop abbiamo intrecciato, di nuovo, resistenze e ribellioni non silenziose, ma messe a tacere, non dimenticate ma tenute nascoste. Lo abbiamo fatto cercando di lenire le ferite di una guerra asimmetrica, portata avanti da chi alza i muri e chiude i confini, lancia missili e chiude i rifornimenti. E proprio a Gaza terminerà il cammino della nostra carovana: gli ultimi due giorni saremo, infatti, a nord della Striscia a posizionare l’impianto di illuminazione fotovoltaico del campo sportivo di Green Hopes; il primo step della campagna “Play 4 Gaza” che abbiamo lanciato coinvolgendo varie realtà dello sport popolare.

Ritorniamo in Palestina a un anno esatto dalle violenze e dagli arresti arbitrari subiti dai palestinesi nei territori occupati che hanno in seguito scatenato quell’escalation che ha portato ai bombardamenti su Gaza costati la vita a centinaia di persone e causato danni strutturali ancora non sanati.

Ritorniamo in Palestina pochi giorni dopo la vigliacca uccisione della giornalista Shireen Abu Akleh da parte dell’esercito israeliano; purtroppo non il primo, ma l’ennesimo episodio di violenza contro i giornalisti palestinesi.

Ritorniamo in Palestina dopo una pandemia che ha evidenziato come l’apartheid sia una pratica talmente consolidata da essere applicata anche alla distribuzione dei vaccini. Una pandemia che ha mietuto vittime anche a causa del sistema sanitario palestinese ormai stremato ed al collasso.

Ritorniamo in Palestina a 74 anni dalla Nakba, dopo che molto è cambiato ma tutto resta uguale. Perchè l’efferatezza di un regime di apartherid sionista che ghettizza, espelle, arresta, umilia e uccide corpi di generazione in generazione è di fatto una “ongoing Nakba” che si ripete e si perpetua giorno dopo giorno, si reinventa e si riproduce.

Ritorniamo in Palestina mentre la guerra globale imperversa, mentre il mondo guarda all’Ucraina dove una brutale occupazione militare sta lacerando popolazioni civili mentre la sua strumentalizzazione sta avallando un ritorno agli armamenti, alla chiusura sempre più ermetica dei confini e alla riabilitazione di sanguinari dittatori promossi a mediatori internazionali.

Ritorniamo in Palestina per camminare al fianco di chi resiste ogni giorno, smarcandosi dalle logiche e dalle narrazioni che vorrebbero ridurre la questione a mera tifoseria, e dai politici che utilizzano la questione palestinese per il proprio tornaconto, strizzando di tanto in tanto l’occhio alla Palestina ed alle sue istanze.

Il Medio Oriente vive da oltre un decennio una profonda crisi politica, economica e sociale, e la Palestina non ne è esente. Scegliamo di tornare nelle strade dei territori occupati per ribadire che le comunità resistenti non necessitano di tifo, ma di solidarietà e cooperazione, ed è ciò che vogliamo e sappiamo fare.

Ritorniamo in Palestina per vedere con i nostri occhi quello che ci viene raccontato e scoprire cosa viene fin troppo spesso omesso; ritorniamo in Palestina per ascoltare i racconti delle comunità che resistono e non si arrendono nonostante tutto.

Ancora una volta cercheremo, tra le differenze, quello che ci unisce.

«Bisogna riprendere le strade, sì, ma per lottare. Perché la vita, la lotta per la vita, non è una questione individuale. Di fronte a muri e frontiere, la nostra navigazione è collettiva».