Gli abitanti del campo di Dheisheh si raccontano. Avremo voluto mostrarvi i loro volti, farvi ascoltare il suono della loro voce. Ma in Palestina si viene arrestati per un post su Facebook. Per la foto di un ragazzo ucciso trovata dai militari su un cellulare durante un’ispezione. “Metterci la faccia” è sempre più pericoloso.
Rispettando le loro richieste, con il loro permesso abbiamo trascritto alcune delle testimonianze che ci sono arrivate in queste settimane. La guerra totale di Israele entra nelle case, colpisce la sfera più intima, lasciando un amaro senso di vuoto e ingiustizia.
È come tornare indietro nel tempo, durante la prima Intifada. Tutto il campo di Dheisheh era circondato da una recinzione sorvegliata dall’esercito israeliano. L’unico modo per uscire era attraverso un piccolo tornello, ancora visibile, oggi trasformato in una sorta di cimelio da museo. Ma il senso di accerchiamento oggi a Dheisheh è vivo più che mai. Dopo il 7 ottobre Israele sta impedendo quasi totalmente la mobilità all’interno dei territori palestinesi, con effetti devastanti su tutta la popolazione.
Ho cominciato a soffire di attacchi di panico. Attraversare i check point, quando riesci a trovarli aperti, è diventato un incubo. Lavoro a Ramallah, a circa 30 chilometri dal campo di Dheisheh. Per arrivarci di solito impiegavo due ore. Adesso, se tutto va bene, me ne servono sei.
I militari israeliani sono ossessionati dai nostri cellulari, e in particolare dall’applicazione di Telegram. Sto molto attenta. Controllo ogni chat, ogni foto, prima di mettermi in viaggio. Non devono esserci immagini di martiri, non devono esserci riferimenti a Gaza o alle violenze dell’esercito. Mi hanno preso il telefono già due volte. Per fortuna non hanno trovato nulla di compromettente. Ma non sempre va così.
Avevano iniziato a controllare il cellulare di una donna. Non so cosa abbiano trovato. Ad un tratto hanno preso una delle sue borse, c’era dentro tutta la sua biancheria intima. Hanno cominciato a ridere, a prendere gli indumenti e a metterli in mostra davanti agli altri uomini in fila al check point. Poi hanno iniziato a picchiarla e l’hanno portata via.
Per un po’ si era parlato anche della vicenda di un altro ragazzo. Ad un posto di blocco i militari avevano sequestrato come al solito il suo telefono. Gli avevano chiesto perchè non avesse installato Telegram visto che è lì che gli “arabi” fanno circolare le notizie. Lui ha giurato di non utilizzare quest’applicazione. Di tutta risposta gli israeliani hanno cominciato a picchiarlo sulla testa.
La mia salute mentale sta peggiorando. Ho paura. Non so quanto riuscirò a continuare in questo modo.
F , 27 anni, campo profughi di Dheisheh