Latinoamerica

La Bolivia (non é più) di Evo

di Christian Peverieri

Si sta sgretolando a colpi di urne quel Sud America progressista: ogni nuova tornata elettorale provoca sconquassi a sinistra da cui ne determina il rafforzamento delle opposizioni conservatrici.

Anche per il primo presidente indigeno della Bolivia Evo Morales è arrivata l’ora della débâcle elettorale. Quasi il 52% degli aventi diritto al voto (con un’affluenza vicina al 90%) ha respinto la proposta del governo di modificare la costituzione. Quella di domenica 21 febbraio non è stata tuttavia una sconfitta definitiva, infatti, il risultato del referendum sancisce solamente il divieto al Presidente di ricandidarsi per la terza volta alle elezioni del 2019, lasciando però aperta al MAS (Movimiento al Socialismo, partito dello stesso presidente), la possibilità di recuperare e di rimanere al governo fino 2025 (quindi per vent’anni consecutivi) con un altro candidato.

Quello che invece sembra sancito definitivamente è la crisi profonda, e a quanto pare irreversibile, dei governi di sinistra in tutto il continente latinoamericano. Il crollo di consensi e le accuse di corruzione al governo di Dilma Rousseff in Brasile e soprattutto le catastrofiche elezioni in Argentina e Venezuela mettono sotto processo le amministrazioni “illuminate ma non troppo” dei governi del nuovo continente.

Senza dubbio, la perdita di fiducia degli elettori è dovuta al “tradimento” dei cosiddetti governi amici e all’incapacità di costruire un cambiamento radicale nel modo di gestire il Paese. Le accuse di corruzione, di malfunzionamento degli apparati statali e di svendita delle risorse energetiche alle multinazionali, sono all’ordine del giorno e quello che colpisce maggiormente, significativo è il caso della Bolivia in questo senso, è l’assoluta incapacità di avviare processi politici e sociali capaci di rigenerarsi e rinnovarsi senza dipendere dal carisma di un leader. Inoltre, soprattutto nel caso Venezuela, sono da tener ben presente le ingerenze nordamericane che finanziano le destre e destabilizzano le già difficili economie locali.

A ben vedere la manovra di Evo Morales è indifendibile sotto molti punti di vista e dà ampio spazio alle opposizioni per giocare d’attacco accusandolo di voler concentrare tutto il potere nelle sue mani e di non preoccuparsi delle sorti del Paese.

Come dare torto quindi alla risposta degli elettori boliviani che, stanchi delle sue promesse e sentendosi ingannati, hanno respinto il tentativo di legalizzare l’investitura a vita a presidente.

Dove ha sbagliato Morales (ma anche i Kirchner o Chavez/Maduro)? Sicuramente il nodo centrale è aver tradito gli ideali che l’hanno portato a diventare Presidente. Più di tutto ha pesato l’essersi allontanato dai movimenti: “Il peggior crimine di questo governo è stato aver distrutto il tessuto sociale che è stato costruito dalla guerra dell’acqua”, scrive su twitter Oscar Olivera, portavoce dei movimenti andini durante i processi moltitudinari dei primi anni del 2000, scintilla e motore degli avvenimenti che hanno poi contribuito in maniera determinante all’elezione di Morales.

L’assalto al cielo è dunque fallito. In tutti questi governi gli elettori si sono sentiti traditi da chi li ha usati per arrivare al potere promettendo cambiamenti radicali, ma si è ben presto trasformato in esecutore di politiche di sfruttamento del territorio e delle risorse, oltre che reprimere quei movimenti di protesta che ne sono nati di conseguenza.

Nonostante alcuni innegabili miglioramenti delle condizioni di vita degli strati più poveri della popolazione, quello che è passato è appunto il tradimento degli ideali e dei valori anticapitalisti per i quali questi governi hanno ricevuto il mandato a governare dai propri elettori. Quello che hanno costruito non è stato un abbattimento del sistema capitalista ma il tentativo, da sinistra, di governare un processo di destra: ecco allora per esempio le grandi svendite alle multinazionali, che sfruttano le risorse e devastano l’ambiente di ampie porzioni di territorio; ecco di conseguenza la forte repressione contro tutti quei movimenti che difendono la Pachamama da sfruttamento e devastazione, siano essi di destra o di sinistra. Questa è stata la base per le sconfitte elettorali, dall’Argentina, al Venezuela per finire con la Bolivia: a fare politiche di destra son più bravi quelli di destra.

Questo declino ora apre di nuovo le porte dei governi alle nuove destre neoliberali. Come scrive Raul Zibechi: “Le nuove destre arrivano radendo al suolo, portandosi via tutto quello che s’interpone nel loro cammino, dai diritti acquisiti dei lavoratori, fino a stravolgere le regole del gioco istituzionale. Per loro, essere democratici significa a malapena contare le schede elettorali ogni quattro o cinque anni”. E ancora, riferendosi a Macri: “È figlio del modello neoliberale e si comporta secondo il modello estrattivo, facendo del saccheggio il suo argomento principale. Non ha paura di andare oltre i valori della democrazia e dei procedimenti che la caratterizzano. Qualcosa di simile può dirsi della destra venezuelana. Oggi i referenti di questa nuova destra sono Donald Trump e Silvio Berlusconi, o il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, militarista e guerrafondaio, che non rispetta né il popolo curdo né l’opposizione legale, che viene sistematicamente attaccata brutalmente”.

Le conquiste dell’inizio del secolo, nate sotto l’impulso delle varie sollevazioni popolari come quella argentina del 2001 o la guerra dell’acqua in Bolivia nel 2000, alla luce dei fatti sono state purtroppo anche lo strumento di caudillos, il cui unico vero obiettivo è stato la presa del potere e la gestione del sistema neoliberale in salsa progressista e non il suo rovesciamento radicale.

Il quadro sudamericano a prima vista è complicato per i movimenti. Per Oscar Olivera è di nuovo tempo di rimboccarsi le maniche: “Ora ci tocca, di nuovo, recuperare la nostra capacità di decidere, senza caudillos, senza padroni, senza partiti.” Di certo tempi duri aspettano i movimenti in divenire, stritolati dalla responsabilità di aver costruito la base del successo elettorale di questi governi e dall’incapacità di creare immaginari nuovi e dirompenti al deserto prodotto dagli stessi governi. Un deserto che, è bene ricordarlo, è ciò che rischia di diventare questo continente, assediato da multinazionali senza scrupoli, pronte a tutto pur di accaparrarsi le ricchezze naturali e con governi disposti a concedere il saccheggio delle proprie terre pur di arrivare o restare al potere.