Sancrì non è una città come le altre. Possiede quell’aurea romantica che l’insurrezione zapatista le ha regalato l’alba del primo gennaio 1994.
Bisogna solo voler guardare oltre a quel mercato così colorato, quelle calles rese andadores turistici per cercare di sfruttare l’immagine della città ribelle.
Una città che ha tutt’altro che un’anima ribelle, governata dal Partito Verde, costola del tradizionale e reazionario PRI, e avviata verso un poderoso sfruttamento della sua potenza turistica.
Cos’altro è infatti il progetto di un’autostrada che colleghi San Cristobal a Palenque, devastando chilometri di Selva incontaminata e desplazando le comunità indigene, spesso ribelli, che ci abitano?
Dietro a questa potenza di facciata si cela però l’ennesimo Messico invisibile e ribelle. Un Messico che non rinuncia a lottare per un nuovo modello di societá e contro il neoliberismo sfrenato del malgoverno, ora guidato da Peña Nieto.
É il Messico che qui a San Cristobal ad esempio denuncia il massiccio internamento nelle carceri federali di indigeni e attivisti politici.
La casa dove siamo ospitati è di Alexandra e Giovanni che ci raccontano il loro lavoro nelle carceri di San Cristobal.
Ci parlano di Alejandro, aderente alla Sesta dichiarazione dell’ezln, in carcere da oltre quindici anni, accusato ingiustamente di un crimine che non ha mai commesso.
É chiaramente un reato costruito apposta dalla polizia, ci raccontano, perché l’unica colpa di Alejandro é di essere indigeno, povero e di voler cambiare la societá messicana.
Come lui, moltissimi altri indigeni sono in carcere per reati non commessi: “É una pulizia etnica a tutti gli effetti” ci dice Giovanni.
Le storie proseguono, un altro indigeno è accusato di omicidio avvenuto in luogo lontano dalla sua casa… Un luogo che non sa nemmeno dov’è!
Il problema è che se sei indigeno in Messico, non hai diritto a un avvocato, non hai diritto nemmeno a un interprete se per caso la tua lingua non è lo spagnolo: è in questo modo che giudici e polizia riescono a fare firmare confessioni ai prigionieri, utilizzando sistematicamente la tortura.
Il lavoro del gruppo di Alexandra e Giovanni è proprio questo, sostenere chi è un carcere, aiutarlo a sopportare la repressione del malgoverno.
Così Giovanni ogni giovedì con altri compagni e compagne tiene un laboratorio e lo fa, tra le altre cose, parlando della Sexta e del Confederalismo democratico di Ocalan.
La questione curda è molto sentita qui a San Cristobal tanto che Giovanni, venuto a conoscenza della nostra staffetta nella Rojava, in fretta e furia organizza per il martedì seguente una “charla publica” con noi per raccontare questa esperienza.
Torniamo a parlare di carcere. Il lavoro sui prigionieri politici é molto pesante, dure sono le condizioni cui sono costretti i prigionieri; per questo, assieme ai detenuti è stato avviato una cooperativa di amache, il cui ricavato di vendita è destinato a sostenere le spese per il sostegno dei prigionieri politici.
Scende la sera, stranamente non piove, il climate change comincia a sentirsi anche qui, la stagione delle piogge stenta a decollare. In lontananza il suono dei tipici petardi che provengono dalle colline intorno a San Cristobal. Ceniamo insieme e ci salutiamo perché la mattina seguente si parte per il Chiapas zapatista, quello che grazie alla sua poesia e alla sua lotta per la dignitá e la giustizia ci ha fatto arrivare nella Selva Lacandona quasi vent’anni fa.
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