Wallmapu

Cronache contro il Terricidio 3 di Moira Millán

Mari Mari kom pu lamngen ka Kom pu che.

Siamo partite da Sierra Negra il giorno 17 dicembre, dopo aver celebrato un wixa xipal, quando i tenui bagliori di Antu [il sole] cominciavano ad accarezzare la Mapu.

Mentre ce ne andavamo da lì, insieme alla famiglia che ci ha ospitato, in direzione di Gan Gan, kurruf [il vento] ha intensificato i suoi soffi. Abbiamo partecipato a una marcia organizzata dall’assemblea del “No a la Mina di Gan Gan”. E’ stata una gioia ritrovare qui la papay cushe Paulina Cual. Non ci vedevamo da più di un decennio. Gli abbracci e l’allegria hanno accorciato il tempo. Invitate da lei e sua figlia, il giorno successivo siamo andate a Chacay Oeste. Mentre camminavamo lungo i 30 e passa km che separano Gan Gan da quel piccolo villaggio scolastico, non ho smesso di pensare alla mia futa lamngen, Amalia Paillalef pingeyem.

Amalia Paillalef è stata una lamngen [sorella] docente che per quasi una decade ha vissuto a Chacay Oeste impegnata con la comunità, con pu pichikeche (le/i bambini). Ha fatto un grande sforzo per portare fino a quella comunità il diritto a una educazione identitaria e ha lottato anche per altri diritti calpestati. Dalla sua voce ho saputo dell’esistenza di Chacay Oeste, ho sempre voluto conoscere questo luogo, ovvio che avrei voluto camminarci con Amalia, sedermi a bere un mate con lei sotto l’albero che ha piantato e che è cresciuto eretto e frondoso ma solitario. Con le sue iniziative è riuscita a costruire una casa per ospitare i docenti. Lei mi parlava sempre della forza e della saggezza delle donne Mapuche del luogo, soprattutto mi parlava di Marina Cual e della sua ñuke Paulina. Ora che sono stata insieme con loro, che ho percorso il territorio, ascoltato le testimonianze e visto le avversità che devono affrontare, confermo la percezione che Amalia aveva di loro. Confesso anche che quando parlavano di Amalia, un nodo alla gola di emozione mi inondava e si accumulava anche la nostalgia di cose che avrei voluto vivere con la mia lamngen in quell’angolo di mondo che sembra tanto dimenticato e castigato.

Sicuramente voi che leggete questa cronaca non sapete niente di chi vi sto scrivendo, perché non si sa nulla di nessuna delle donne indigene che ogni giorno mettono i loro corpi maltrattati in una lotta impari contro la voracità del capitalismo, contro il razzismo e l’odio dello stato verso i nostri popoli.

Non ho alcun dubbio che lo spirito di Amalia passeggia per quei luoghi accarezzando le foglie del suo albero piantato e i suoi studenti che ormai sono dei giovani che hanno impugnato la lotta per i loro diritti. Amalia, insieme ad altri docenti, ha costruito un miracolo, hanno convertito la scuola in uno spazio di accoglienza, di appoggio, di forza.

Le scuole di solito rappresentano nelle comunità mapuche lo stato coloniale oppressore, quello che ci sottrae la lingua, quello che cancella la memoria e l’identità con il sangue, quello che affascina Sarmiento e che costringe a rendere omaggio al genocidio. Le scuole rappresentano per noi popoli indigeni un ulteriore spazio di tortura genocida.

Tuttavia, quella piccola scuola di Chacay Oeste invita la nostra papay kimche Paulina Cual a condividere il mapudungun, a recuperare la storia del luogo, la storia del nostro popolo, affronta temi sensibili come la violenza di genere, senza riguardo e obiezioni, applica l‘ESI e dichiara le festività Mapuche come calendario rilevante. Credo sia la prima scuola dove il wiñoy xipantu [capodanno mapuche] sia importante. L’intero villaggio scolastico è costituito dalla comunità locale mapuche, che quasi nella sua totalità lavora in maniera volontaria nella struttura. Durante la pandemia le docenti hanno fatto uno sforzo doppio, preparando i materiali in base al contesto e all’identità dei loro studenti. Sono andate personalmente in ogni casa per lasciare gli opuscoli che hanno elaborato. Il governo della provincia del Chubut non paga gli stipendi, ha un ritardo di 3 mesi. Non invia denaro per il funzionamento della scuola e le docenti pagano il materiale di tasca loro, altrimenti i pu pichikeche non avrebbero accesso all’educazione perché non hanno energia elettrica, né internet per ricevere lezioni virtuali, ma ovviamente questo è qualcosa che i tecnocrati del Ministero dell’educazione sanno, ma di cui non gli importa.

In inverno le temperature in quel luogo, come anche nella confinante comunità mapuche Laguna Fría, arrivano a -21° sotto zero. E’ impossibile transitare per i sentieri, la neve, il ghiaccio e la mancanza di manutenzione delle strade isolano le comunità, che devono sopravvivere senza legna, con scarsità di cibo e una costante scarsità di acqua. L’assistenza sanitaria non esiste. Se qualcuno si ammala sceglie sempre di curarsi con lawen, piante medicinali del luogo, visto che l’ambulatorio medico è sprovvisto di tutto. L’ospedale più vicino è quello della località di Gan Gan, a 30 km, nel quale nessuno vuole andare per mancanza di medicamenti e farmaci e soprattutto per la noncuranza e i maltrattamenti che ricevono. Alla loro già difficile vita si aggiunge ora la minaccia mineraria. Le famiglie temono che – al concretizzarsi dello sfruttamento, della contaminazione ambientale, della contaminazione sociale (gli accampamenti minerari ospitano molti uomini provenienti da luoghi diversi e vi proliferano postriboli, alcol e droghe) – l’impoverimento strutturale aumenterà, dal momento che gli abbeveratoi degli animali saranno contaminati e provocheranno la morte del bestiame. Tutto questo li spinge a lasciare le loro terre.

 Il governatore della provincia del Chubut, Mariano Arcioni, ha detto che la Meseta è sacrificabile, perché lì non vive nessuno. Che faccia tosta! Che crudeltà! In questo vasto territorio ci sono famiglie di stirpi resilienti, capaci di trasformare il deserto in un giardino. Le sue parole sono criminali. E’ un assassino che giustifica la morte. Nel luogo vivono prevalentemente donne.

Dalla voce della papay ascoltiamo attentamente e in silenzio racconti di dolore, di violenza di stato, di politicanti ingannatori e manipolatori. Si percepisce la rabbia, l’indignazione e l’insofferenza. Queste donne sono disposte a combattere, a strappare i loro sogni a questo maledetto sistema.

Mai più angosce, mai più incubi, il diritto al buen vivir verrà tessuto con un solido ordito nelle mani di queste Weychafe zomo, guardiane della terra.

Dalla Puelwillimapu, Trekaletuaiñ iñ küme mongeleael. Moira Millán

Chiunque voglia sostenerle questa camminata di solidarietà e le attività del Movimiento Mujeres Indigenas por el Buon Vivir
potrà farlo versando al conto intestato a Moira Ivana Millán.
CBU: 0110253830025312295129 –  BANCO NACION Cuil 27-21572492-7
 
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