Latinoamerica

Tensione dopo le mobilitazioni in Ecuador. Intimidazioni e pedinamenti di attivisti.

Aggiornamento e comunicato del MGTL

Poco più di un anno fa, nell’ottobre 2019, l’Ecuador, si incendiava per le proteste contro la riforma economica del governo liberista che voleva applicare i pesanti tagli al welfare previsti dall’accordo con il Fondo Monetario Internazionale. In un tempo relativamente breve, nella moltitudine che aveva invaso le strade, guidata dal movimento indigeno fino alle grandi città, erano confluiti sindacati e studenti, collettivi urbani per la giustizia sociale, militanti ambientalisti e comitati che si oppongono allo sfruttamento idrico e minerario, e questa moltitudine aveva dato prova che il risultato si poteva raggiungere, rovesciando le sorti del Paese. Moreno si era visto costretto a ritrattare sul paquetazo pur di mantenere stabile la sua posizione.

Da allora però, la situazione non si può dire migliorata: allo scoppiare della pandemia il governo aveva vissuto una nuova crisi per la quale si era dimessa la ministra della Salute Pubblica, sostituita da Juan Carlos Zevallos Lopez, attualmente in carica. Inoltre, l’emergenza coronavirus in Cina, tra i maggiori importatori del petrolio ecuadoriano, aveva portato al crollo del prezzo  del greggio.

Le conseguenze della diffusione del virus a livello globale hanno svelato definitivamente le disuguaglianze sociali locali. Nel caso dell’Ecuador, le manovre di investimento pubblico non hanno fatto altro che accelerare, nel corso dell’ultimo anno, estrattivismo minerario, privatizzazioni e liberalizzazioni, licenziamenti di massa e smantellamento del welfare, assecondando interessi predeterminati, funzionali a grandi imprese e gruppi di potere storicamente legati alle destre. Queste ultime, vedono il loro bacino elettorale più radicato e fedele nella provincia di Guayas, una delle aree maggiormente colpite dagli effetti devastanti del virus su una popolazione inerme, impreparata a rispondere a un’ondata dall’impatto così violento.

Abbiamo ancora in mente le immagini raccapriccianti dei cadaveri abbandonati in strada, la totale mancanza di misure di prevenzione e di senso di umana solidarietà da parte delle Istituzioni e delle strutture sanitarie, immagini da inserire in un quadro di corruzione e di inadeguatezza generale, a livello sistemico. La soluzione delle autorità di Guayaquil, fu distribuire alla cittadinanza bare di cartone. Ad oggi in Ecuador si contano più di dodicimila morti a causa della pandemia.

I finanziamenti promessi dal FMI e l’incoerente gestione dei fondi pubblici da parte dello Stato costituiscono un continuo motivo di scontro. Già a maggio si erano riaccese alcune mobilitazioni, represse sul nascere con feriti e arresti.

Lo scorso ottobre molti sono tornati in piazza a manifestare, aderendo allo sciopero generale diffuso e a una giornata nazionale di resistenza popolare. Nelle ultime settimane si registra un clima pre-elettorale (le elezioni dovrebbero svolgersi il prossimo febbraio) di crescente tensione, soprattutto ascoltando le testimonianze e leggendo i comunicati degli attivisti del Movimento Guevarista, che la polizia non esita a definire “gruppi di antagonisti, violenti” in un documento ufficiale di recente pubblicazione, con il preciso intento di delegittimare il dissenso e criminalizzare l’organizzazione sociale, ribadendo l’ovvietà del carattere reazionario del potere.

La risposta dal basso è determinata: “La persecuzione politica è diretta verso chi aspira a una vita migliore per tutti gli ecuadoriani, per difendere i valori umani più sacri e per non vedere il nostro popolo sottomesso agli artigli criminali del FMI e della Banca Mondiale”.

Qualche giorno fa, la stampa di tutto il mondo diffondeva le notizie della destituzione di Vizcarra al congresso nazionale di Lima, di moltitudini che nuovamente riempivano le strade di una metropoli latinoamericana, dell’ennesimo stravolgimento che cambia gli assetti politici di quelle regioni per noi remote del pianeta. Lo stesso giorno a Quito accadeva un fatto, un episodio forse di scarsa entità, che ci dà però un sentore dell’aria che si respira da quelle parti. Un episodio che il Movimento Guevarista non ha avuto remore a denunciare prontamente, con preghiera di diffusione internazionale, come indicato in questi casi dai consulenti legali specializzati e dalle organizzazioni di difesa dei diritti umani. Pare non sia un episodio isolato.

“I cani abbaiano, significa che stiamo avanzando” 

Don Chisciotte

Continua l’azione intimidatoria e persecutoria contro dirigenti di comitati popolari e attivisti sociali.

Il nostro compagno Ernesto Flores Sierra, portavoce del MGTL – Movimento Guevarista “Tierra y Libertad”, è stato fermato dalla polizia mentre si recava presso uno studio medico per sottoporsi a un controllo, dovuto a un problema grave di salute.

La testimonianza di Ernesto:

“Il 9 novembre, mentre andavo dal medico, con il quale avevo appuntamento per un controllo sul mio stato di salute attualmente molto delicato, sono stato seguito, dal mio domicilio fino alla clinica AXXIS, da alcuni membri della polizia nazionale in borghese, con un’auto verde targata (se non mi inganna la memoria) PFA 2489, e intercettato poi da un agente in moto che voleva segnalare il mio veicolo. Solo dopo avergli spiegato del mio grave problema di salute mi ha lasciato andare. Uscito dalla clinica, sono stato seguito ancora dalla stessa macchina fino casa”.

Queste pratiche repressive da parte dello Stato tentano di zittire o di fiaccare l’azione di chi pensa sia possibile un mondo migliore, e si organizza per lottare, di chi ogni giorno lavora con ogni sua forza per rendere concreta, dal basso, la giustizia sociale.

Non abbiamo paura e andiamo avanti.

L’MGTL denuncia pubblicamente la persecuzione e l’intimidazione sistematica e permanete contro la militanza e indichiamo come responsabile il governo incaricato dell’incolumità del nostro portavoce.

Movimiento Guevarista “Tierra y Libertad”

Juventud Guevarista Ecuador

 

Esprimiamo la nostra solidarietà a Ernesto e a tutte le persone sottoposte a misure cautelari o preventive, a sorveglianza e prescrizioni, a chiunque subisca il “processo alle idee” da parte di ogni Stato.

“Vogliono arrestare le idee, ma le idee sono come il vento”

Associazione Ya basta! Êdî bese!