Mondo

Stop alla persecuzione contro Omar Radi e alla repressione della libertà d’espressione in Marocco

In Marocco, da sempre, i movimenti di protesta generano risposte repressive e violente da parte della polizia. In questi ultimi anni, il caso più significativo è stata la repressione del movimento Hirak nella regione del Rif, un movimento di protesta che ha scosso il Marocco dal 2016. Ad esso hanno fatto seguito più di 1500 arresti e più di 700 condanne. Tra queste, 5 persone sono state condannate a 20 anni di carcere.

Omar Radi, giornalista indipendente che, dagli inizi del movimento, ne ha seguito le vicende e ne ha assicurato la copertura sulla scena giornalistica internazionale, ha espresso la sua indignazione di fronte a questa condanna in un post su Twitter il 5 aprile 2019. In seguito a questo tweet, il 18 aprile 2019, Omar Radi è stato convocato una prima volta dalla polizia marocchina, la Brigade nationale de la police judiciaire (BNPJ). In quella circostanza, il giornalista ha difeso il proprio diritto alla libertà di espressione e di opinione, diritti garantiti dalla Costituzione marocchina e dalle convenzioni internazionali ratificate dal regno, tra le quali c’è il patto internazionale sui diritti civili e politici.

Tuttavia, durante una seconda convocazione, il 26 dicembre 2019, Omar Radi è stato condotto davanti al procuratore di Aïn Sebaa, circoscrizione di Casablanca, e il giudice ha dato inizio a una causa giudiziaria sulla base dell’articolo 265 del codice penale per oltraggio a magistrato, rigettando la domanda di liberà provvisoria nonostante la liceità della stessa considerato lo stato di salute del giornalista. Omar Radi è stato quindi perseguito in carcere, poi in libertà provvisoria (grazie a un movimento di solidarietà nazionale e internazionale), prima di essere condannato, per oltraggio a magistrato, a 4 mesi di carcere con sospensione condizionale della pena

Questa condanna non ha messo fine alla macchina repressiva contro Omar Radi.

Il 22 giugno, Amnesty International ha reso pubblico un rapporto a proposito del sorveglianza illegale di Omar Radi attraverso Pegasus, un programma di spyware del gruppo NSO introdotto, a sua insaputa, nel suo telefono cellulare dalle autorità marocchine.

In seguito a questo fatto, il 25 giugno, Omar Radi ha ricevuto numerose convocazioni da parte della BNPJ (10 dal 25 giugno al 29 luglio), la cui durata ha raggiunto le 10 ore di interrogatorio e durante le quali egli è stato sospettato di spionaggio. Egli è stato quindi portato davanti al Procuratore del re il 29 luglio. È detenuto per quattro motivi: per ricezione di fondi esteri con l’intento di minare la sicurezza interna dello Stato, per aver stabilito contatti con agenti di paesi stranieri al fine di danneggiare la situazione diplomatica del Marocco, per aver attentato al pudore con violenza (atti osceni) e per violenza sessuale – questi ultimi due motivi, spaventosi, sono stati aggiunti successivamente al dossier (cf. infra).

Parallelamente, alcuni media, al soldo delle autorità marocchine (si segnala in particolare Chouf TV), hanno lanciato delle campagne diffamatorie contro Omar Radi. Oltre a tutte queste vessazioni virtuali pesanti, Omar Radi ha subito vessazioni nella vita quotidiana: è stato seguito nel corso delle giornate e intimidito dai giornalisti di Chouf TV alle porte della BNPJ. A questo si aggiunge l’arresto di Omar Radi con il suo collega Imad Stitou, la notte tra il 5 e il 6 luglio, in seguito ad un alterco, fatto sorgere dal nulla, con un cameraman di Chouf TV. I due giornalisti, in quell’occasione, sono stati perseguiti per ubriachezza sulla via pubblica, insulti e riprese video di una persona senza consenso per Stitou, con gli stessi capi d’accusa per Radi, oltre agli atti di violenza.

Al culmine dell’infamia e manchevoli di un dossier credibile da presentare alla giustizia, i servizi della polizia marocchina hanno estratto una delle armi da loro favorite: le false accuse relative alla sessualità. Omar Radi è accusato di stupro, attentato al pudore e violenze. Screditare la morale è una strategia ben nota del regime, come hanno mostrato quest’ultimo anno le accuse rivolte a Hajar Raïssouni, accusata di relazioni sessuali al di fuori del matrimonio o ancora Taoufik Bouachrine, condannato a quindici anni di carcere senza prove e con violazione della presunzione di innocenza. Non è certo credibile che lo Stato abbia iniziato ad interessarsi alle condizioni generali delle donne e in particolare alle violenze sessiste e sessuali! Vale a questo proposito la pena ricordare che numerose donne, dopo aver denunciato una violenza, sono state perseguite sulla base dell’articolo 490 che vieta le relazioni sessuali al di fuori del matrimonio. Come per le altre accuse, questa sembra dunque essere stata costruita ad arte e fa parte della strategia di neutralizzazione e repressione di ogni voce giornalistica indipendente in Marocco.

Parallelamente, Amnesty International è bersaglio a propria volta di numerose campagne diffamatore da parte dello Stato marocchino, dei suoi politici e dei giornali.

La persecuzione che si rivela in questa vicenda non è il frutto di una guerra personale tra lo Stato marocchino e un giornalista – Omar Radi –, ma è il frutto di una guerra che il regime conduce contro la «parola libera e pubblica » in Marocco, in modo particolare contro i giornalisti. Dal dicembre 2019 ad oggi, 16 persone (tra cui due liceali) sono stati imprigionati per aver condiviso contenuti su Facebook, Instagram, Youtube e subiscono pene che vanno da un mese a 4 anni di carcere. Si veda la tabella annessa.

Noi, marocchine e marocchini residenti in Francia, insieme a numerosi attivisti e forze democratiche in Francia e in altri paesi, seguiamo con preoccupazione questo oltraggio condotto dallo stato marocchino contro la libertà di espressione e, nello specifico, contro il libero esercizio della professione di giornalismo indipendente. Esigiamo per questo la fine delle ingiuste persecuzioni che subiscono i difensori dei diritti e delle libertà, difensori tra i quali c’è anche Omar Radi.

Mettiamo a conoscenza di questa situazione gli organismi internazionali e chiediamo a tutte le forze democratiche in Francia e nel mondo intero di esprimere il loro sostegno in favore della causa della libertà di espressione che incarna, in questo momento, il giornalista Omar Radi.

Pic Credit: Illustrazione di Wissal Houbabi

Clicca qui per firmare l’appello.