Messico

Sulle orme di chi non dimentica

di Riccardo Bottazzo – Tante scarpe appese ad un filo, tra le fronde degli alberi di Ca’ Bembo liberata. Sotto, le stampe delle loro suole. Ciascuna con una frase, un pensiero, un ricordo, una speranza. Sono le orme di chi non vuole dimenticare suo padre, sua madre, suo figlio. Vittime innocenti di un crimine che ha come primo responsabile lo Stato. Sono i desaparecidos della frontiera del Messico. Gente scomparsa nel nulla. Venduti a peso di carne umana a latifondisti, narcotrafficanti, magnaccia. Fatti a pezzi per incrementare il mercato di organi, usati come capri espiatori nelle galere o cavie da laboratorio, schiavizzati in fabbriche illegali, prostituiti nei postriboli. Numeri secondi solo alla guerra in Siria. Più di 30, forse anche 40 mila scomparsi, secondo le recenti stime delle associazioni per i diritti umani. Perlomeno centomila ammazzati negli ultimi dieci anni. Da quando cioè, Stati Uniti e Messico dichiararono la cosiddetta “guerra al narcotraffico” che ha ottenuto il solo risultato – che poi è quello che si prefiggeva! – di consegnare il Paese centroamericano alle multinazionali della droga e creare una “pattumiera” sociale ed economica a ridosso degli States. Proprio come a ridosso delle nostre case ci sono i contenitori della differenziata. Perché, sia chiaro a tutti, che se le pistole che uccidono sono tenute dai narcos, ad armare queste pistole ed puntarle è lo Stato messicano. Partiti al governo ed opposizioni, polizia ed esercito sono spartiti tra i tanti cartelli mafiosi. E quando qualche narcotrafficante viene trovato accoppato per un regolamento di conti, non è raro scoprire che apparteneva all’esercito o alla polizia o che era stato addestrato in uno di quei campi dove gli specialisti della guerra statunitensi preparano le forze che dovrebbero combattere i trafficanti di narcotici.

Ecco perché Messico, fare domande è molto più rischioso che commettere un omicidio. Lo sanno bene tutti i colleghi giornalisti che ogni giorno rischiano la vita. E lo sapeva bene Javier Valdez Cárdenas, accoppato lunedì 15 maggio sotto il giornale che dirigeva. E’ il settimo giornalista messicano ucciso quest’anno.

E lo sanno bene, che a far domande si rischia la pelle, anche i genitori degli scomparsi. Lo sa bene Ana Enamorado, madre di un ragazzo di 17 anni fatto sparire nel niente. Più volte minacciata di morte perché si ostina a percorre la strada che doveva aver percorso anche suo figlio, mostrando a tutti coloro che incontra la foto del suo ragazzo. E, ad ogni passo che compie, ad ogni orma che lascia, non può fare a meno di chiedersi se il suolo che calpesta non sia in realtà la tomba di suo figlio.

Le orme di chi continua a cercare sono state trasformate in una esposizione artistica – Huellas de la Memoria – che vuole essere, prima di tutto, un grido di dolore su quanto avviene alla frontiera del Messico, dallo scultore Alfredo Lopez Casanova. L’esposizione itinerante è esposta a Venezia, tutti i pomeriggi sino a domenica, nello splendido giardino di Ca’ Bembo, in fondamenta del rio di San Trovaso, che gli studenti del Lisc, Liberi Saperi Condivisi, hanno recuperato e restituito alla città. A portare la mostra in laguna, sono stati gli attivisti dell’associazione Ya Basta Edi Bese.

Di seguito, l’intervista di Camilla Camilli a Ana Enamorado.