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Il Governo del Presidente Macrì rivendica lo spionaggio contro le popolazioni originarie

Il governo rivendica come politica di sicurezza ufficiale le pratiche illegali contro comunità indigene. L’amministrazione precedente le attribuì ad atteggiamenti individuali di un agente dell’AFI (Agencia Federal de Inteligencia), che si trova sotto processo per questo. La Corte Suprema aveva respinto l’applicazione della legge antiterrorista alla comunità mapuche che ha una controversia aperta con Benetton per la proprietà delle loro terre ancestrali. Anche la Corte Interamericana disapprova che si giudichino questi casi come terrorismo.

Per il governo nazionale, le rivendicazioni delle popolazioni originarie sulle loro terre ancestrali non costituiscono un diritto garantito dalla Costituzione, bensì un delitto federale “poiché cercano di imporre le loro idee con la forza”, secondo un’informativa del Ministero di Sicurezza datata 30 agosto. Il governo attribuisce all’organizzazione Resistencia Ancestral Mapuche (RAM) “fatti criminali come occupazione di territori, incendi, danni, minacce, nelle province del Chubut e Rio Negro” e ha disposto che la Polizia di Sicurezza Aeroportuale, PSA, accentri “i compiti di indagine”, cosa che non rientra fra le sue competenze. La relazione di Bullrich (Ministra della Sicurezza) fu scritta otto mesi dopo che la Corte Suprema di Giustizia aveva rigettato la competenza federale e l’applicazione della legge antiterrorista alla causa che si istruiva contro Martiniano Jones Huala ed altri rappresentanti mapuche.
Con il voto dei giudici Ricardo Lorenzetti, Elena Highton e Juan Carlos Maqueda, la Corte trasmise il fascicolo alla giustizia provinciale, aderendo alle tesi del Procuratore generale Víctor Abramovich. Questa causa, per i delitti di invasione ed abigeato, sta per essere portata a giudizio nei tribunali provinciali del Chubut, mentre un’altra causa parallela, nella quale il Cile aveva sollecitato l’estradizione del dirigente mapuche Facundo Jones Huala, nipote di Martiniano, fu dichiarata nulla dal giudice federale Guido Otranto. L’appello si discute ora davanti alla Corte Suprema di Giustizia.

La sentenza di nullità sottolineò le pratiche illegali con le quali si era arrivati a formulare la richiesta di estradizione (uno dei testimoni contro il leader mapuche aveva reso dichiarazioni sotto tortura). Due pubblici ministeri e due commissari provinciali furono indagati ed è stato incriminato un agente dell’AFI che aveva fornito loro informazioni su mobilitazioni sociali e marce contro l’insediamento di una miniera. Jones Huala era indagato in Cile per i delitti di incendio in luogo abitato e porto di arma da fuoco di fabbricazione artigianale nel gennaio del 2013, ma non si era presentato il giorno del giudizio, per cui venne ordinato il suo arresto.

Dalla simulazione al vanto

Il Power Point del Ministero della Sicurezza illustra la situazione con una fotografia di tre uomini che rivendicano la riappropriazione di territorio mapuche ed un cartello che chiede la libertà per Facundo Jones Huala, descritto come il Lonco Weichafe.
La relazione ufficiale del 30 agosto si riferisce al processo per l’estradizione che sarebbe iniziato il giorno dopo, il 31. Il giudice federale Guido Otranto respinse l’estradizione. Per il ministero, guidato da Patrizia Bullrich, la “problematica mapuche” consiste nel fatto che “si armano comunità” (sic) e “si occupano terre in zone petrolifere o gasifere ostacolando costantemente il normale sfruttamento dei pozzi”. Questi delitti di invasione, turbamento nel possesso ed estorsione vanno a colpire una funzione strategica delle risorse dello stato: sono stati bloccati 200 pozzi (secondo le informazioni fornite dalla YPF).
La partecipazione di forze federali di sicurezza ed intelligence in compiti di spionaggio della popolazione era già stata denunciata dall’“Asociación de Abogados/as de Derecho Indígena” (AADI) in una nota inviata in agosto al presidente Maurizio Macrì e al governatore del Chubut Mario Das Neves, che non ottenne risposta. La nota sollevava obiezioni sulla risposta penale alle richieste territoriali del popolo mapuche. Usò come esempio “la riappropriazione di terre” la cui proprietà è disputata fra l’impresa transnazionale Benetton e la Comunità di Resistenza Mapuche nel dipartimento Cushamen, dove ebbero luogo “forme di intervento statale eccessive, o direttamente illegali“. In particolare, la nota menzionò un membro dell’Agenzia Federale di Intelligence (AFI) che è indagato dalla Giustizia Federale “per aver spiato attività lecite della popolazione, raccogliendo dati, proibiti dalla legge di intelligence N°25.520, riferiti a reclami di indigeni e residenti che si oppongono alla mega miniera”, e per la pretesa di “applicare a questo caso di supposta usurpazione di terre, la legge antiterrorista N°26.734”, a dispetto della risoluzione contraria della Corte Suprema. L’anno scorso, quando il funzionario dell’AFI fu scoperto, anche se il suo nome è tuttora tenuto riservato, l’allora amministratore dell’Intelligence, Óscar Parrilli, dichiarò che quell’agente aveva agito a titolo personale e trasmise alle vittime le scuse della ex presidente CFK.
Per quanto poco credibile fosse quella precisazione, essa contrasta con la posizione attuale poiché il nuovo governo, lungi dal nascondere quelle attività, le rivendica come una politica ufficiale di successo.

Anche l’AADI rilevò la presenza a Esquel del Capo di Gabinetto del Ministero della Sicurezza Pablo Noceti, la cui fotografia durante un’udienza del processo fu pubblicata dal giornale locale Noticias de Esquel. In un’intervista con la Radio Nacional de Esquel, Noceti disse che stava valutando la sussistenza del reato federale contemplato nell’articolo 213 bis del Codice Penale, che punisce con la reclusione fino a otto anni l’appartenenza a un gruppo il cui oggetto principale o secondario sia “imporre le proprie idee o combattere quelle altrui con la forza o la paura”. (Noceti è il funzionario che negoziò la consegna del narcos Ibar Pérez Corradi coi suoi avvocati Juan José Ribelli e Carlos Broitman, nella fallita operazione che aveva cercato di coinvolgere l’ex ministro Aníbal Fernández nella trama del narcotraffico ma che finì invece per incastrare l’assessore presidenziale Ernesto Sanz).

La nota dell’AADI sottolinea l’esistenza di “un filo conduttore tra le attività statali illecite, il disconoscimento dei diritti dei popoli indigeni da parte di quello stesso Stato, la persecuzione criminale dei suoi leader e lo stereotipo che i mezzi di comunicazione creano, generando la falsa idea che gli indigeni siano una minaccia, esacerbando vecchi conflitti”. Il caso è collegato con la detenzione a Jujuy di Milagro Sala la cui liberazione immediata fu richiesta al governo nazionale dal gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria delle Nazioni Unite, che constatò la violazione delle garanzie di un processo equo e di un giudizio da parte di un tribunale imparziale ed indipendente.

Terrorismo a sassate?

Il parere di Abramovich, che la Corte Suprema fece proprio, sostiene che nel marzo del 2015 quindici membri della Comunità di Resistenza del Dipartimento Cushamen sarebbero entrati senza autorizzazione nella proprietà Leleque, avrebbero respinto con pietre il tentativo della polizia di sgomberarli, avrebbero interrotto la Strada Nazionale 40 e avrebbero sollecitato l’intervento di autorità nazionali per istituire un tavolo di dialogo sulle rivendicazioni della proprietà ancestrale di quelle terre.
Il giudice provinciale si dichiarò incompetente, considerando che si trattava di una questione di sicurezza interna, con “l’aggravante prevista nell’ultimo paragrafo dell’articolo 41 quinquies del Codice Penale, di competenza federale”, che raddoppia la pena prevista. Il giudice federale riconobbe solo la sua competenza per l’interruzione del traffico sulla strada nazionale ma considerò inapplicabile l’aggravante poiché la rivendicazione indigena per la proprietà o il possesso della terra impedisce di qualificare i fatti come atti terroristici, poiché proprio L’ articolo 41 quinquies del Codice Penale esclude i fatti che “hanno luogo in occasione dell’esercizio di diritti umani e/o sociali o di qualunque altro diritto costituzionale” e ricordò che l’articolo 75 comma 17 della Costituzione garantisce il possesso e la proprietà comunitarie delle terre tradizionalmente occupate dalle popolazioni indigene argentine. Secondo la decisione della Corte Suprema, non si ravvisano nel caso i fini previsti nell’articolo 41 quinquies di “terrorizzare la popolazione od obbligare le autorità pubbliche nazionali o i governi stranieri o gli agenti di un’organizzazione internazionale a realizzare un atto o astenersi dal farlo”. E nemmeno includerebbero “qualche tipo di conflittualità del tipo contemplato negli strumenti internazionali di prevenzione e sanzione del terrorismo”. Al contrario, “rientrano nella cornice di una protesta portata avanti per la rivendicazione di diritti sociali”. Nel 2014, nel caso Norin Catriman, anche la Corte Interamericana di Diritti umani aveva condannato il Cile per aver applicato la legislazione antiterrorista a un gruppo di attivisti mapuche e aveva fatto presente al Cile che doveva adeguare la sua legislazione interna per renderla compatibile col principio di legalità dell’articolo 9 della Convenzione Americana.

Nel chiedere la nullità della domanda di estradizione di Facundo Jones Huala, la sua avvocata Elisabeth Gómez Alcorta fece notare che l’allerta rossa che il governo del Cile aveva sollecitato all’Interpol per scoprire dove si trovasse il leader mapuche era entrata in vigore il 6 febbraio del 2015. Ma l’informazione che permise di rintracciarlo fu ottenuta dal capo della polizia del Chubut Pablo Carrizo, secondo capo della Divisione Poliziesca di Investigazioni di Esquel, tre giorni prima che arrivasse la domanda. Ci riuscì dopo pressioni o torture praticate nel commissariato di Gualjaina, senza ordine del giudice né presenza dell’avvocato difensore, al detenuto Gonzalo Cabrera che così aveva rivelato di ospitare Facundo Jones Huala in casa di sua madre adottiva. La notizia fu portata a conoscenza dell’Interpol quando ancora non esisteva un ordine di cattura contro Jones Huala e fu il vero motivo della domanda [di estradizione].

Cabrera raccontò nel processo per l’estradizione, “morto di paura, come fu percosso quando lo fecero entrare nell’auto di pattuglia e poi al commissariato, come lo fecero firmare un verbale falso, come fu obbligato, costretto, percosso”. Carrizo comunicò il fatto al suo superiore, Leonardo Bustos, e il 5 di febbraio inoltrò una richiesta all’Ufficio Estradizioni dell’Interpol a Buenos Aires, domandando se esistesse qualche mandato di cattura internazionale contro Jones Huala che, diceva, probabilmente si trovava nella zona. Fino a quel momento, il Cile non aveva richiesto l’estradizione.
Un secondo documento della polizia all’Interpol riproduce i cosiddetti “Verbali Interrogatorio”, del 4 febbraio, nei quali Cabrera rivela quello che sa su Jones Huala: che era ricercato dalla polizia del Cile, dove era stato detenuto; che aveva partecipato all’incendio di un camion da carico sulla Strada Nazionale 40, all’altezza di Leleque, e che stava progettando di realizzare scritte murali e di “occupare le terre degli huincas”, nella regione Las Canchas vicino a Esquel e a Leleque, contese con Benetton. Sulla base di questi dati il giudice di Esquel, Óscar José Colabelli, ordinò una serie di perquisizioni che ebbero luogo il 3 di febbraio, un giorno prima dell’interrogatorio, “qualcosa di oggettivamente impossibile”.
Colabelli ha una lunga tradizione di violenza istituzionale contro i più deboli. Nel 2002 ordinò lo sgombero violento di una coppia mapuche, azione per cui il tribunale di procedimento giudiziario del Consiglio della Magistratura lo destituì nel 2004; nel 2010 però fu reintegrato poiché uno dei membri del tribunale che lo aveva giudicato non possedeva i requisiti richiesti. Nel 2012 fu denunciato quando pretese di impedire l’esecuzione di un aborto non punibile, richiesto dalla madre di una bambina di 12 anni, vittima di uno stupro. Nel febbraio del 2015 Colabelli ordinò l’arresto di Jones Huala ed il Cile chiese la sua estradizione sulla base della falsa sequenza di eventi ordita dai poliziotti. Carrizo non era l’unico, perché anche un agente della Delegazione Trelew della Segreteria di Intelligence si presentò nel maggio del 2015 davanti al procuratore Fernando Rivarola e gli offrì le informazioni che aveva raccolto durante un anno sul gruppo mapuche che stava cercando di riappropriarsi delle terre.

Gli archivi che consegnò rivelano la messa in atto di azioni di intelligence di carattere illegale nei riguardi di Facundo Jones Huala e del Gruppo RAM, inclusi foto, riprese e pedinamenti del gruppo “No alla miniera”.

Il giudice Otranto dichiarò nulla l’indagine della polizia, perché senza la coercizione fisica e psichica di Cabrera, il Cile non sarebbe venuto a conoscenza della presenza di Jones Huala nella zona, né avrebbe formalizzato la domanda di estradizione e di detenzione preventiva. Cabrera fu fermato mentre, in stato di ebbrezza, tentava di rubare in una stazione di servizio a Gualjaina. Senza che venga spiegato il motivo delle sue dichiarazioni, mentre era detenuto per quel fatto egli attribuì a Facundo Jones Huala alcune scritte murali della resistenza mapuche che erano apparse nella zona, per cui un giudice provinciale per le indagini preliminari autorizzò la polizia a perquisire il domicilio di Cabrera, dove non venne trovato Jones Huala bensì una copia del suo documento di identità, un aerosol, una carabina calibro 22 ed una carabina ad aria compressa. Con queste prove, l’ufficiale Carrizo chiese all’Ufficio Interpol di Buenos Aires di informarsi presso il corrispondente ufficio in Cile se c’era qualche citazione giudiziaria contro Jones Huala, che era ritenuto trovarsi in Chubut. La risposta fu che esisteva un mandato di cattura in Cile, ma nessun ordine di detenzione internazionale, che invece fu emesso solo successivamente come conseguenza di questi fatti.

La Divisione Investigativa della polizia richiese al tribunale federale la perquisizione di quattro abitazioni, senza spiegare perché sospettasse che Jones Huala si potesse trovare in una di esse. Il giudice non autorizzò la perquisizione e ordinò di approfondire le indagini per rintracciarlo.
Il 5 marzo, richiedendo la detenzione preventiva, la Corte d’Appello cilena di Valdivia indicò che Jones Huala si trovava a Esquel, “secondo un’informazione fornita dall’Interpol di Buenos Aires in forma riservata allo Stato del Cile”. Due settimane dopo, l’agente dell’AFI si intromise nelle indagini senza un ordine del giudice. Il giudice federale lo processò per aver svolto un’indagine criminale senza un’autorizzazione legale né un mandato di un giudice relativo ad uno specifico procedimento.
L’arresto di Jones Huala avvenne il 25 maggio del 2016, nella proprietà occupata. L’ufficiale Carrizo procedette su ordine del giudice provinciale, ma non informò il tribunale federale, che pure lo stava cercando. Se la Segretaria federale María Silvina Salverò non avesse fatto onore al suo nome e preteso che [Jones Huala] venisse messo a disposizione di Otranto, è probabile che sarebbe stato consegnato alla frontiera senza un processo di estradizione. “Dall’esposizione precedente si vede con chiarezza che l’informazione secondo la quale Jones Huala si trovava nella regione ha un’unica origine: le operazioni extragiudiziarie messe in atto da Gonzalo Cabrera”, scrisse il giudice Otranto.

Rendendo testimonianza, l’ufficiale Carrizo dichiarò di aver interrogato Cabrera nella Divisione Poliziesca di Investigazione di Esquel, dove fu condotto da personale di polizia dopo essere stato rimesso in libertà per il motivo per cui era stato fermato. “Cabrera era in libertà solo formalmente”, obietta il giudice. Secondo Carrizo, in quell’interrogatorio emerse il collegamento di Jones Huala con l’incendio di un camion, con i suoi piani per avviare un processo di recupero territoriale e con la sua condizione di latitante nei confronti della giustizia cilena. Allo stesso tempo, l’agente di intelligence che indagava senza un ordine del giudice sollecitava la polizia affinché “fermasse la persona che sospettava essere Jones Huala, fino al punto di rimproverare il Ministro di Sicurezza della Provincia del Chubut per quella che riteneva un’inerzia poliziesca”. Il giudice sottolineò con stupore che non si capiva il motivo per cui Cabrera “spontaneamente avesse incominciato a incriminare Jones Huala se non per la coercizione di cui aveva riferito durante il dibattimento”. Carrizo confermò di aver visto che [Cabrera] era stato picchiato, però lo fece solo a seguito di una domanda di Otranto, e attribuì la cosa a colpi ricevuti quando fu fermato, che in quel momento non raffiguravano quindi azioni di polizia o giudiziarie.
Ubriaco, ruppi i vetri ed entrai a rubare in una stazione di servizio, mi fermarono e dovetti confessare”, disse Cabrera. Su domanda della difesa, disse che dovette confessare perché lo picchiarono e gli chiesero conto delle cose trovate nella sua casa, che era stata perquisita. Se non avesse incriminato Facundo, gli disse la polizia, “avrebbero incolpato me”. Dopo che ebbe dichiarato quello che gli chiedevano, gli concessero gli arresti domiciliari. Prima che Cabrera lo menzionasse sotto costrizione, gli investigatori di polizia non erano a conoscenza di Jones Huala né delle sue attività. Neanche le autorità cilene sapevano che si trovava in Argentina. “Non si può autorizzare l’estradizione richiesta senza violare il suo diritto a un legittimo processo legale”, concluse il giudice dichiarando la nullità del rapporto di polizia ed ordinando di indagare se Cabrera avesse subito soprusi o pressioni illegali, (articolo 144 bis inciso 3º del Codice Penale, punito con detenzione da uno a cinque anni), o tortura (articolo 144 ter comma 1º del Codice Penale, la cui pena va da 1 a 5 anni). Così come fece con i responsabili della sparizione di Iván Torres nel 2003, anche in questo caso il governo del Chubut appoggiò le sue forze di sicurezza. Il capo della polizia, commissario Juan Luis Alé (che nel 2008 aveva appoggiato le aspirazioni presidenziali del governatore Mario Das Neves perché gli sembrava “un grande uomo”), annunciò dopo la sentenza che avrebbe denunciato il giudice Otranto davanti al Consiglio della Magistratura e negò pressioni o torture. Disse che l’interrogatorio fu filmato e che mostrava un atteggiamento cordiale tra i poliziotti e Cabrera, al quale fu perfino offerto del mate. Quello che si vede nelle riprese in realtà è il detenuto con un occhio pesto, cosa che il medico della polizia non aveva segnalato nei verbali. Alé quindi sapeva di essere appoggiato non solo da De las Neves, ma anche da Macrì e da Patrizia Bullrich.

di Horacio Verbitsky – Sunday, Nov. 13, 2016

 

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