Kurdistan

Il fallimento della politica turca in Medio Oriente

tratto da Globalproject.info

Nell’ultima conferenza stampa prima del suo intervento all’Assemblea Generale dell’Onu, il Primo Ministro turco Ahmet Davutoglu ha fatto chiari riferimenti al fatto che il governo di Ankara non sta pensando a dei cambiamenti sulla linea di politica estera da seguire rispetto alla questione siriana. Infatti, nel suo intervento ha fatto chiaramente capire che la Turchia non accetta le posizioni di Washington e Mosca sulle priorità in Siria e sul futuro di Bashar Al-Assad.

Davutoglu ha anche ammesso, in maniera implicita, che la decisione di prendere parte alla Coalizione anti-IS a guida americana ha come obiettivo principale l’impedire ai curdi siriani di fare ulteriori riconquiste territoriali a discapito dello Stato Islamico, rispetto a combattere quest’ultimo.

Le parole del Primo Ministro turco hanno inoltre chiarito la posizione del governo di Ankara sul futuro e sul ruolo di Assad nell’eventuale, ma quanto mai lontana, transizione di potere verso una risoluzione del conflitto siriano. Egli sostiene infatti che Assad non potrà avere alcun ruolo negli eventuali negoziati o nel periodo di transizione, mettendo così in risalto il fatto che all’interno del governo turco esistono opinioni differenti in merito, anche contrastanti tra loro. Non meno di una settimana fa, il Presidente turco Erdogan, presenziando a Mosca alla cerimonia di inaugurazione della più grande moschea in territorio russo, aveva dichiarato nel suo discorso che vi era la possibilità che Assad potesse fare parte della transizione, contravvenendo così alla linea che il governo e l’establishment turco mantiene da anni su Assad stesso e sulla crisi siriana.

In generale, le parole di Davutoglu dimostrano la totale confusione del governo turco nel cercare per forza una soluzione senza però perdere la posizione di attore forte e conseguentemente cercando di non “perderci la faccia”.

In particolare, il Primo Ministro ha cercato di spiegare ai media il suo piano per la creazione di una “safe zone” nel nord della Siria adiacente al confine turco, tra le città di Jarabulus e Azzaz, dove vorrebbe costruire, con l’aiuto dell’Unione Europea, tre città dove ospitare i rifugiati in fuga dalla guerra. In quella zona, secondo quanto riportato dalle fonti locali, le formazioni dello Ypg/Ypj starebbero ammassando uomini e mezzi in vista di un prossimo attacco all’Is per riconquistare la regione, nel tentativo di unire il cantone di Afrin con quello di Kobane ed il resto della Rojava.
Lo sforzo delle formazioni Ypg/Ypj nella lotta allo Stato Islamico è stato recentemente riconosciuto anche dal Pentagono, per voce dell’ammiraglio Kirby, il quale in un comunicato ha dichiarato che il governo americano e le sue forze armate, non ritengono né lo Ypg né il Pyd (il suo braccio politico), organizzazioni terroristiche. Egli ha inoltre ammesso che la collaborazione tra Coalizione anti-Is e Ypg nei bombarbamenti è ormai assodata sin dai tempi dell’assedio di Kobane.

Dall’altra parte però, la Turchia accusa Pyd e Ypg di essere emanazioni del Pkk e quindi organizzazioni terroristiche a loro volta. La prospettiva che i curdi della Rojava riescano ad unire i 3 cantoni, avendo continuità territoriale lungo tutto il confine e con un accesso diretto al Nord Iraq, è uno scenario da “incubo” per Ankara, la quale è accusata da più parti di appoggiare le milizie jihadiste di Al-Nusra e dello Stato Islamico con l’obiettivo finale di prevenire il ricongiungimento dei cantoni.
Queste posizioni del governo di Ankara rinforzano l’idea che la Turchia sia entrata nella Coalizione anti-Is non a causa dell’attentato, attribuito ai miliziani del Califfato, dello scorso 23 luglio a Suruç, ma come copertura per le operazioni con il Pkk, lo Ypg e Pyd.
Allo stesso modo, i continui richiami turchi verso la creazione della “safe zone” in territorio siriano, sono chiaramente atti a capitalizzare consenso da quei paesi europei che vanno vivendo la crisi dei migranti sui propri confini.

E’ chiaro ormai che Stati Uniti e Unione Europea non sostengono questo progetto turco soprattutto perchè non hanno intenzione di inviare truppe di terra per difendere questa “safe zone”, mentre la Russia di Putin rimane fermamente in contrasto con questa opzione, anche come dimostrano i recenti avvenimenti. Il discorso di Davutoglu all’Onu dimostra come la Turchia non sia pronta a cambiare la sua visione sulla questione siriana anche perchè, al momento, non dispone di una forza diplomatica e politica necessaria per arrivare ai risultati che si è posta.

In conclusione di quest’analisi si può dire che il governo turco sta “perdendo la bussola” sulla questione siriana, venendo schiacciata sia dagli avvenimenti sul campo, sia dalle pressioni ed interessi internazionali.

Il vero obiettivo di Erdogan e Davutoglu ha, invece, più a che fare con la politica interna che con quella estera: le dichiarazioni e le conseguenti azioni hanno il chiaro e limpido obiettivo di capitalizzare consenso in vista delle prossime elezioni politiche del 1 Novembre, dove il trono di cristallo su cui Erdogan è seduto da anni rischia fortemente di sgretolarsi.

di Marco Sandi