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Tunisia: i movimenti contestano la Legge di riconciliazione

I movimenti sociali tunisini hanno messo in campo una campagna di contestazione per fermare la Legge di riconciliazione economica e finanziaria nazionale. Si tratta di un provvedimento messo in cantiere dal governo di “grande coalizione” Nidaa-Nahda.

Tale governo è composto per la maggioranza dal partito di “centro sinistra” Nidaa Tounes, forte del sostegno dell’ala moderata del sindacato e in cui sono confluite diverse formazioni laiche tra cui l’ex Partito Comunista Tunisino e molti vecchi membri dell’RCD, il partito del regime di Ben Ali. La minoranza del governo è composta dall’UPL dell’uomo d’affari Slim Riahi, dal partito liberale Afek Tounes e dagli islamisti di EnNahda. La Legge di riconciliazione prevede un condono per gli uomini d’affari e per gli alti funzionari implicati in processi per corruzione, evasione, frode e altre pratiche illegali in connivenza con il regime di Ben Ali. Secondo il progetto, gli indagati potranno presentare le loro scuse e versare una somma di denaro in cambio della caduta delle accuse nei loro confronti. Si tratta dunque di un’assoluzione del “capitalismo di relazione” neopatrimonialista che ha caratterizzato i regimi arabi dalla svolta neoliberista in poi (si tratta insomma di un “neoliberismo reale” da contrapporsi al “neoliberismo ideale” fondato sul mito del libero mercato).

Il governo sta presentando tale provvedimento come una misura necessaria alla ripresa economica, la Tunisia è infatti entrata in recessione tecnica nell’ultimo trimestre a causa della caduta dei livelli di investimento. I capitali sono infatti in fuga a causa dell’instabilità politica cominciata nel 2011 e i recenti attentati jihadisti al Museo del Bardo e a Sousse hanno dato il colpo di grazia alle già deboli speranze di ripresa. Il governo tunisino sostiene dunque che sia necessario riconciliare il paese con la cricca affaristica di Ben Ali di modo che i businessmen indagati riportino in Tunisia le fortune che ora nascondono nelle banche internazionali (con la connivenza dei poteri politici occidentali). La vedono diversamente i movimenti sociali, che sostengono che i processi giudiziari debbano proseguire in modo da permettere la confisca delle fortune ammassate grazie ai legami con la dittatura, in modo da poter usare tali risorse per investimenti pubblici di sviluppo nelle aree più svantaggiate del paese. Molti attivisti sostengono la necessità di minacciare un ripudio del debito sovrano dittatoriale, almeno come arma contrattuale con la finanza internazionale per il recupero del “denaro sporco” finito all’estero. La Tunisia tuttavia ha contratto dei prestiti condizionali con la Banca Mondiale nel 2011 e con il Fondo Monetario nel 2013, che hanno permesso a tali istituzioni internazionali di eliminare di fatto la politica economica dal dibattito elettorale mainstream (che si è quindi cristallizzato sulla frattura culturale laicità-islamismo) e di rimettere il paese sul classico binario “libero-mercatista” dominante dagli anni ’80. La disoccupazione giovanile, già elevatissima, è stata ancor più esacerbata dall’approfondirsi del neoliberismo e dal crollo degli investimenti.

Dalla seconda metà di agosto, i movimenti tunisini hanno cominciato a diffondere una campagna d’informazione sui social media, sono poi passati alle conferenze stampa sui mezzi di comunicazione tradizionali. Sabato 29 agosto c’è stato un primo presidio a Tunisi e martedì 2 settembre una manifestazione che è terminata con scontri tra manifestanti e polizia. Alcune centinaia di militanti si sono riuniti alle cinque del pomeriggio di fronte alla sede nazionale del sindacato UGTT, ma la polizia ha rifiutato di permettere al corteo di avanzare, dato che lo stato d’emergenza dichiarato dopo l’attacco di Sousse permette di vietare le manifestazioni. I militanti hanno tentato per circa mezz’ora di forzare il blocco di polizia che impediva al corteo di accedere ad Avenue Bouguiba, strada principale del centro di Tunisi e simbolo della rivoluzione. Di fronte all’impossibilità di sfondare, i manifestanti si sono divisi in piccoli gruppi e hanno raggiunto Avenue Bourguiba attraverso strade secondarie. La polizia ha allora lanciato alcuni lacrimogeni in Avenue Bourguiba e attaccato i militanti più esposti, alcuni dei quali sono stati percossi a terra. I movimenti annunciano nuove mobilitazioni in corrispondenza dell’inizio del ciclo scolastico per studenti medi e universitari.

di  Lorenzo Fe

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